Presentate le liste dei candidati al consiglio Provinciale di Potenza e Matera, la percentuale di presenze femminili è rispettivamente pari al 7% (28 candidati di cui 2 donne) e al 32% (31 candidati di cui 10 donne ). “Percentuali risibili”, commenta la Consigliera regionale di parità, “specie quella della Provincia di Potenza, degne di un Paese del terzo mondo”.
“Questo dato (sconfortante) testimonia e conferma che il cammino per il raggiungimento di una effettiva e reale rappresentanza politica di genere è ancora arduo e lungo”, dichiara l’Avv. Ivana Pipponzi. “Malgrado la legislazione italiana sia tra le più evolute”, prosegue la Consigliera regionale di parità, deve cambiare la sensibilità politica e la cultura paritaria”.
Senza dubbio la conquista dei diritti politici delle donne è una vera e propria rivoluzione nello spazio pubblico e privato. Per questo, nei suoi principi fondamentali la Costituzione non solo afferma l’uguaglianza “senza distinzione di sesso”(art. 3), ma fin dall’origine contiene norme espressamente volte a garantire il principio delle pari opportunità uomo-donna in materia elettorale (art. 48 e 51), che la revisione costituzionale degli articoli 117 nel 2001 e 51 nel 2003 ha reso ancor più esplicito. Come affermato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n.49/2003), queste norme pongono “esplicitamente l’obiettivo del riequilibrio e stabiliscono come doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni”: forme e modalità per raggiungere l’obiettivo sono lasciate al legislatore, con ampi margini di scelta fra tutte le misure possibili.
Oggi, il tema delle misure di pari opportunità elettorali è affrontato in tutte le leggi elettorali, con “quote di genere” (presenza di candidati di uno stesso sesso non minore o non superiore a una determinata misura), diffusione della “doppia preferenza” (una seconda preferenza solo a favore di un/a candidato/a di sesso diverso da quello/a a cui si è attribuita la prima), previsioni sanzionatorie diversificate. A livello locale, nei comuni con più di 5.000 abitanti sono previste quote di genere pari a un terzo, ma la sanzione di inammissibilità colpisce solo al di sopra dei 15.000 abitanti (legge 215/2012). Per il parlamento europeo vi sono quote del 50%, con vincolo di posizione alternata solo per i primi due candidati (legge 65/2014). Il nuovo sistema elettorale della Camera (legge 52/2015, Italicum: un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza, a liste concorrenti con capolista bloccato e voto di preferenza) impone che i candidati siano presentati in ordine alternato per sesso; al contempo, i capilista dello stesso sesso non possono essere più del 60% del totale in ogni circoscrizione e, nel complesso delle candidature circoscrizionali di una lista, nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore al 50%. Il voto di preferenza, previsto in tutti e tre i livelli, è sempre declinato nella versione della doppia preferenza di genere.
Nelle leggi elettorali delle regioni, una legge quadro (legge 20/2016) impone di prevedere: a) in caso di liste con voto di preferenza, una quota di genere del 40% in ciascuna lista e la doppia preferenza di genere; b) in caso di liste bloccate, l’alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo che i candidati di un sesso non eccedano il 60% del totale; c) nel caso di collegi uninominali, che le candidature con il medesimo simbolo di candidati dello stesso sesso non superino il 60%. Punto debole resta l’assenza di sanzioni, che potranno però essere introdotte dalle leggi regionali.
Prosegue la Consigliera regionale di parità, “in Basilicata siamo ancora in attesa di una legge regionale che garantisca una piena parità di genere che, personalmente, individuo nella doppia preferenza di genere, considerati i risultati raggiunti a livello di elezioni comunali”.
“C’è da chiedersi”, afferma l’Avv. Pipponzi, “se il genere costituisca una qualità necessaria della rappresentanza. Il legislatore italiano, infatti, ha sin qui preferito le quote di genere, perché, a differenza delle quote femminili, agirebbero in modo “neutrale”; anche se, in realtà, una norma formulata esplicitamente a favore del sesso femminile renderebbe esplicita la circostanza che la sotto-rappresentazione riguarda, in termini attuali e concreti, il genere femminile. La questione, quindi, riguarda la funzione assegnata alle quote: le pensiamo come misure temporanee, azioni positive per rimuovere un assetto di potere squilibrato e garantire effettiva parità di opportunità, destinate per la loro stessa funzione ad essere superate nel momento in cui l’assetto di potere risultasse non più squilibrato? Oppure come norme permanenti di definizione di una condizione paritaria tra i sessi che si assume come assetto irrinunciabile nella composizione della rappresentanza, come sua qualità indispensabile?”.